Donne del Monferrato: Astesana, la badessa che visse nel bosco

Categoria: Territorio
Nel Parco naturale delle Capanne di Marcarolo, distante dal Mar Ligure poco più di dieci chilometri in linea d’aria, si trova un monastero dalla storia singolare. Il monastero è quello di Santa Maria di Bano, sul Monte Colma, a 360 metri …
REDAZIONE

Nel Parco naturale delle Capanne di Marcarolo, distante dal Mar Ligure poco più di dieci chilometri in linea d’aria, si trova un monastero dalla storia singolare.

Il monastero è quello di Santa Maria di Bano, sul Monte Colma, a 360 metri di altitudine, compreso nel territorio comunale di Tagliolo Monferrato, in provincia di Alessandria.

Il monastero Santa Maria di Bano

Fu fondato sicuramente prima del 1203, anno al quale risale il primo documento che ne attesta la presenza, e fu chiuso nel 1469. I secoli successivi trascorsero nell’oblio del monastero, che intanto venne invaso e sepolto dal bosco.  Soltanto nel 2001 iniziarono gli scavi archeologici per riportarlo alla luce.

Fra i reperti fu trovata anche un’epigrafe che nomina la badessa Astesana. Di lei si sa che visse negli anni intorno al 1296 e che sotto la sua autorità il monastero beneficiò di un considerevole ampliamento.

Documenti desunti da un coevo archivio notarile di Ovada fanno comprendere che, nel periodo fra il 1288 e il 1296, il monastero arrivò a ospitare circa cinquanta monache, un numero straordinario rispetto alla media di venticinque religiose degli altri monasteri. Oltre alle monache, vivevano nei pressi del complesso e prestavano lì la loro opera anche conversi.

Di alcuni di loro si conosce il nome, indicato su documenti di tipo contrattuale e di compravendita. Manfredo da Moasca e Bosco Casale di Rocca, da intendersi come Rocca Grimalda, furono due di questi. Il compito dei conversi era di aiutare le monache in molti lavori pratici e anche di presenziare ad atti formali.

rovine del monastero di santa maria di bano a tagliolo monferrato

La badessa Astesana

Il nome Astesana è da intendersi come nome proprio, diffuso in area astigiana.  Con ogni probabilità fu proprio la presenza di una badessa originaria di Asti o del Monferrato astigiano e di un converso della stessa area a introdurre nel monastero l’uso di mattoni in cotto, che venivano realizzati in una fornace interna al monastero stesso e della quale sono stati trovati i resti.

Il mattone in cotto è, infatti, più tipico dell’Astigiano che non della zona collinare e montuosa dell’Appennino alessandrino e genovese, dove si prediligeva la pietra.

Sempre dagli scavi archeologici e dai documenti notarili si conoscono i nomi di varie monache consorelle di Astigiana.

Barbarina, Giovannina e Giovanetta, soltanto per citarne alcune, non soltanto sono indicate in atti di vendita o di acquisto di terreni, atti la cui decisione era condivisa dalla badessa, ma le iniziali dei loro nomi compaiono anche su frammenti di tazze e piatti rinvenuti negli scavi.

L’indicazione dell’iniziale del nome era indispensabile perché ogni monaca portava con sé in dote anche vasellame per uso proprio, oltre a somme di denaro e, in alcuni casi, terreni da inserire fra i benefici del monastero.

La posizione del monastero potrebbe far pensare, oggi, a un isolamento dai paesi. In realtà, ai tempi della sua fondazione, i percorsi fra i boschi erano frequentati da mercanti e pellegrini. Sebbene l’ordinamento del monastero, cistercense e organizzato secondo la regola benedettina, fosse claustrale, la sua costruzione non lo poneva fuori dalle rotte di transito.

Va anche ricordato che già in epoca romana le valli e i monti del bosco erano conosciuti per la presenza di pagliuzze d’oro nelle acque dei torrenti Piota e Gorzente.

Il sito archeologico oggi

Le dimensioni perimetrali del monastero sono ampie. Molti sono i resti delle mura non abbattute dal tempo. Le compongono pietre, non disposte secondo un ordine geometrico accurato poiché destinate a essere coperte con intonaco bianco, lo stesso colore delle vesti delle monache.

Il sito archeologico comprende scalini, con ogni probabilità d’accesso al refettorio, le misure del quale sono state calcolate, in base alle emergenze pavimentali, in 23 metri di lunghezza pere 6 di larghezza.

All’interno dello spazio archeologico è stata rinvenuta una vasca in pietra per la raccolta di acqua con una storia particolare.

Dopo essere stata ripulita, la vasca ha rivelato di contenere una chiave: si tratta presumibilmente della chiave che chiudeva l’edificio comprendente il refettorio e altre stanze del complesso e che le monache nascosero nella vasca al momento della loro partenza nel 1469.

Le monache speravano, dunque, di tornare e la loro preoccupazione fu quella di evitare intrusioni da parte di ladri. Le monache, invece, non tornarono più. Il gesto, alla luce degli eventi successivi, appare suggestivo e simbolico: la chiave fu consegnata in modo inconsapevole al bosco, rendendolo custode del monastero.

In quanto ad Astesana, le scarne notizie che ci sono giunte testimoniano un’attività intensa sia per quanto riguarda opere edilizie sia per quanto riguarda l’attivazione di contratti al fine di garantire al monastero il necessario per la vita delle monache.

Compare negli atti, per esempio, l’accordo per il conferimento di castagne secche da parte di chi conduceva i terreni di pertinenza a Santa Maria di Bano. Il prodotto era utilizzato per ottenere farina, alimento indispensabile in una zona che non consentiva la coltivazione di cereali.

I documenti testimoniano come il monastero godesse nella seconda metà del ‘200 di un effettivo benessere, conseguente all’ingresso di ragazze provenienti dalla nobiltà e dalla ricca borghesia ligure, per lo più costrette a farsi monache per la preservazione dei patrimoni familiari a favore del fratello primogenito.

Attualmente il sito archeologico è recintato, ma osservabile dall’esterno.

Oltre al racconto “Astesana, la badessa nel bosco” compreso nella raccolta “Donne fuori dalla Storia – Voci di un Monferrato da scoprire” Ed. Circolo Culturale I Marchesi del Monferrato, Alessandria, 2021, con relative note storiche, si indica una bibliografia di riferimento per approfondimenti:

GIANNICHEDDA ENRICO (a cura di) È sotto terra la tradizione di Bano – Archeologia e storia di un monastero femminile, Ed. All’Insegna del Giglio con il contributo del Comune di Tagliolo Monferrato, Firenze, 2012

PIANA TONIOLO PAOLA (a cura di), Tagliolo e dintorni nei secoli – Uomini e istituzioni in una terra di confine, Atti del Convegno Storico 7 ottobre 2006, Comune di Tagliolo Monferrato, Editrice Impressioni Grafiche, Acqui Terme, 2007

RICCARDINI EDILIO, Epigrafi di fine Duecento da Santa Maria di Bano (Tagliolo Monferrato) in Atti del Convegno “Studi di Storia Ovadese” promossi in occasione del 45° di fondazione dell’Accademia Urbense e dedicati alla memoria di Adriano Bausola, Ovada 7 – 8 dicembre 2002, a cura di LAGUZZI ALESSANDRO e RICCARDINI EDILIO, Ovada, Memorie dell’Accademia Urbense n° 53, 2005.

TONIOLO PAOLA – PODESTA’ EMILIO, I cartulari del notaio Giacomo di Santa Savina (1283 – 1289). Storia e vita del Borgo di Ovada alla fine del secondo XIII, Comune di Ovada -Accademia Urbense, Tip. F.lli Pesce, Ovada, 1991

L’autrice

Cinzia Montagna è nata a Broni (PV) e vive fra Oltrepò Pavese e Monferrato. E’ laureata in Teoria e Storia della Storiografia – Facoltà di Lettere, Università degli Studi di Pavia. E’ giornalista professionista e collabora dal 2015 con Patrizio Roversi come coautore di programmi televisivi, con Roversi e Syusy Blady in prodotti editoriali video, con Bruno Gambarotta in eventi di carattere culturale e dal 2007 con Paolo Massobrio nell’organizzazione di “Golosaria tra i castelli del Monferrato – Rassegna di cultura e gusto”, della quale è referente per il territorio astigiano. A partire dal 2012 ha pubblicato saggi e romanzi che hanno per protagoniste figure femminili “minori”, in particolare nella Storia del Monferrato, la maggior parte editi dal Circolo Culturale “I Marchesi del Monferrato”.